Il Castello di Lipari

 “Giungemmo nell’Eolia, ove il diletto
Agl’immortali Dei d’Ippota figlio,
Eolo, abitava in isola natante,
Cui tutta un muro d’infrangibil rame,
E una liscia circonda eccelsa rupe.
Dodici, sei d’un sesso, e sei dell’altro,
Gli nacquer figli in casa; ed ei congiunse
Per nodo marital suore, e fratelli,
Che avean degli anni il più bel fior sul volto.
Costoro ciascun dì siedon tra il padre
Caro, e l’augusta madre, ad una mensa
Di varie carca dilicate dapi.
Tutto il palagio, finchè il giorno splende,
Spira fragranze, e d’armonie risuona.
Poi, caduta su l’isola la notte,
Chiudono al sonno le bramose ciglia
In traforati, e attappezzati letti
Con le donne pudiche i fidi sposi.

Questo il paese fu, questo il superbo

Tetto, in cui me per un intero mese

Co’ modi più gentili Eolo trattava.”

 

Traduzione da: Omero, Odissea nella versione di Ippolito Pindemonte, Cremonese, Roma 1959.

 

  Immagine tratta da “Nel Regno di Eolo” di Adolf Freiherr von Pereira

 

Alta 50 metri, la rocca, che si erge imponentemente sul Mar Tirreno, è una cupola vulcanica formatosi circa 40000 anni fa. Il Castello sorge sulla costa orientale di Lipari tra i due più grandi approdi dell’isola: Marina Lunga a Nord e Marina Corta a Sud. Grazie alla sua conformazione, la rocca rappresenta una vera e propria fortezza naturale, infatti, fin dall’antichità, per gli abitanti, costituì una fonte di riparo sicura dagli attacchi nemici, permettendo, inoltre, l’avvistamento di quest’ultimi a lungo raggio, proprio grazie alla sua maestosa altezza. L’insieme di fabbricati e di sistemi difensivi, formano la “Cittadella Fortificata”, nota con il nome di Civita, la necropoli, a sua volta, occupa tutta la parte pianeggiante della Civita stessa.

Il Castello di Lipari fu abitato sin dall’età Neolitica e le testimonianze dei vari insediamenti si sono sovrapposte a quelle dei periodi precedenti creando, così, un notevole innalzamento del terreno. Da quest’epoca sono rimaste, ancor oggi ben visibili, le capanne a pianta ovale, costruite con pietre a secco, pavimenti plasmati con argilla cruda  e con tetti fatti di ginestra.

Tra il 2300 e il 1500 a.C. inizia la cultura di Capo Graziano, che prende il nome poprio dall’omonimo promontorio dell’isola di Filicudi. Tra il 1500 e il 1300 a.C. compaiono scorci evidenti della cultura di Thapsos* e di quella Milazzese. Tuttavia, verso la fine del 1300 a.C. le Isole Eolie vengono abbandonate e i villaggi rasi al suolo. Successivamente si insediò un nuovo gruppo etnico chiamato Ausonio, proveniente dall’Italia peninsulare. Questo periodo fu diviso in due fasi: Ausonio I e, dopo la sua distruzione intorno al 1200 a.C., Ausonio II, quest’ultimo durerà fino al 900 a.C. e le capanne di questo periodo appaiono più ampie e il tetto veniva sorretto da pali verticali a due spioventi.

*Si definisce cultura di Thapsos la civiltà testimoniata dai ritrovamenti archeologici di un grande centro abitato situato nella penisola di Magnisi, tra Augusta e Siracusa che i Greci chiamarono Thapsos.

Nel 1950 cominciarono gli scavi archeologici e, come citato precedentemente, si notò la sovrapposizione dei resti degli abitati che si sono susseguiti. Un innalzamento del terreno alto circa 10 metri, che conservò in discrete condizioni i resti delle varie epoche:

  • VIII-VII secolo a.C. – insediamento greco ad opera degli abitanti di Cnido e Rodi. A causa delle ulteriori dominazioni, è rinvenuto a noi ben poco ad eccezione di una torre risalente all’età greca del IV secolo a.C e, infine, il Bothros di Eolo, una fossa votiva chiusa da una lastra di pietra lavica, sormontata da un leone sdraiato, simbolo di Cnido.

 

  • VII secolo a.C. – V secolo d.C. – insediamento romano con alcuni resti dell’epoca imperiale tra cui l’evidenza di una divisione tra cardi e decumani e una via di accesso all’acropoli. Il periodo romano fu un periodo tranquillo ma non molto florido sia a causa dei danni e le devastazioni subite nel corso delle guerre puniche sia per le eruzioni vulcaniche che, negli ultimi secoli prima di Cristo, furono particolarmente vivaci. In questo periodo infatti, tra gli altri fenomeni di minore entità, ci fu la eruzione di un nuovo cratere nell’isola di Vulcano che dette luogo al promontorio oggi conosciuto come Vulcanello (183 a.C.).

 

  • V- IX secolo – insediamento bizantino. Contemporaneamente ad esso, un insieme di monaci proveniente dal Medio Oriente furono invasi dai Persiani e, alcuni di loro trovarono rifugio in una zona pianeggiante posta in alto a ovest di Lipari, oggi nota come Piana de’ Greci (o Piano Greca). Numerose sono le tracce di questo stanziamento, soprattutto in una serie di toponimi dell’area di Pianoconte e Quattropani. Per esempio, presso Acquacalda denominata “Santi Quaranta” in ricordo dei quaranta martiri di Armenia finiti sotto persecuzione, abbiamo il monte Sant’Angelo intitolato a San Michele Arcangelo di chiara provenienza orientale, abbiamo il ricordo scritto anche se non più i resti di una Ecclesia di San Basile, abbiamo il monastero di Sant’Andrea di cui oggi rimane solo la chiesa (attualmente dedicata all’Annunzuata) con una particolarissima scalinata che si allarga salendo verso il sagrato.

 

  • 829-1062 – occupazione araba. La flotta musulmana, condotta da “al-Fadl ibn Ya’qub”, devasta le Isole Eolie ed espugna alcune fortezze della costa settentrionale della Sicilia, tra cui Tyndaris. Tuttavia, per gli arabi, Lipari era per lo più un presidio militare. Infatti rabberciarono al meglio le fortificazioni della rocca, sul ciglio orientale innalzarono tre torrette di avvistamento e un’altra, quadrata e più imponente, la edificarono sulla porta di accesso che chiamarono Torre di Medina. Altri reperti risalenti a questo periodo non ci sono rimasti. Probabilmente convissero con i liparesi di Piano Greca e forse anche di un piccolo insediamento “Sopra la terra” e di qualche altra fattoria sparsa nelle campagne, credibilmente fra le due comunità si stabilirono relazioni di tolleranza, ma, quasi sicuramente, continuarono a vivere separate.

 

  • XI-XII secolo – insediamento normanno con conseguente peculiarità dell’architettura normanna costituita da Mastio o Maschio e Dongione (la zona meglio fortificata di un castello):
  1. 1085 – fondazione del monastero di San Bartolomeo da parte dei fratelli Ruggero I di Sicilia e Roberto il Guiscardo e, tre anni dopo, viene fatta la documentazione che attestava l’istituzione dell’abbazia.
  2. 1094 – Ruggero I di Sicilia conferma le precedenti donazioni all’abate Ambrogio con quelle fatte dai suoi baroni e viene fondata la Cattedrale di San Bartolomeo.
  3. 1109 – la regina Adelasia del Vasto (moglie di Ruggero I di Sicilia dal 1087 e rimasta vedova dal 1101) concede alcuni giudei all’abbazia di San Bartolomeo.
  4. 1131 – l’antipapa Anacleto II eleva a sede vescovile i monasteri riuniti di Patti e Lipari, nominando vescovo l’abate Giovanni.
  5. 1134 – un diploma di conferma da parte di Ruggero II di Sicilia conferma alcune dotazioni e cita un visconte (chiamato Albertus), un guardia castello e uno stratigoto (cioè l’esponente di una magistratura cittadina con competenze prevalentemente giudiziarie).
  6. 1139 – le scelte precedenti furono abrogate da papa Innocenzo II, durante il secondo concilio lateranense, il vescovo Giovanni fu deposto e il vescovado torna ad essere abbazia.
  7. 1150 –  La località è citata da Idrisi (famoso viaggiatore arabo) come “hisn“. Nel medesimo periodo la zona è abitata solo in alcuni periodi dell’anno e dispone di un piccolo porto.
  8. 1157 – Il riconoscimento ufficiale della diocesi di Lipari, da parte della Santa Sede, avviene quando papa Bonifacio IX, considerata l’estensione, la distanza dei luoghi per via del braccio di mare che le separa, con il consenso del re Martino I di Sicilia, divide l’episcopato in due diocesi: Lipari e Patti. Da questo momento l’Abbazia di San Bartolomeo riprende le sue funzioni vescovili.
  9. 1166 – L’abate è definitivamente consacrato vescovo

Della dominazione degli Altavilla sono pervenute le torri normanne del XII secolo e fra queste la porta che oggi funge da ingresso alla cittadella fortificata.

  • XVIII – fortificazione sveva, con conseguente architettura tipica di quella dominazione.
  • XIV – periodo aragonese:
  • 1356 – Vinciguerra d’Aragona per meriti svolti a Patti è nominato dal re Federico IV d’Aragona capitano di guerra e castellano di Lipari.
  • 1396 – Il vescovado di Lipari e Patti è concesso a Giovanni I d’Aragona.
  • 1529-1575 – fortificazione spagnola con conseguente sistema difensivo tipico di quell’architettura.

Nel corso dei secoli sono costruiti sulla sommità della collina, una serie di edifici adibiti ad usi diversi. Il castello attuale è costituito dalle strutture realizzate nel XVI secolo, su ordine di Carlo V, dopo l’ennesimo attacco condotto dal capitano turco – ottomano Khayr al-Din Barbarossa, che mise a ferro e fuoco la città, sita ai piedi della rocca, deportando poi gran parte degli abitanti. Le mura di quest’epoca inglobano in alcuni punti, le torri normanne del XII secolo e fra queste una porta fortificata che ancora oggi funge da ingresso al castello.

  • 1502-1504 – Scorrerie compiute da Khayr al-Din Barbarossa col fratello Aruj Barbarossa contro le località di tutte le coste della Sicilia.
  • 1510, 1512, 1514 – Raffica di assalti compiuti da Elias insieme ai fratelli Khayr al-Din Barbarossa e Aruj Barbarossa con attacchi sistematici dei porti e delle località di Lipari e Tindari.
  • 1544 luglio – L’assalto dell’armata corsara turco – ottomana capitanata dall’ammiraglio Khayr al-Din Barbarossa e dal comandante Rais Dragut futuro successore, insidia la costa tirrenica siciliana, devasta l’isola di Lipari. Le scorrerie s’inseriscono in un contesto molto ampio e comprendono il saccheggio della chiesa – fortezza di Tindari, la distruzione dell’abitato e cittadella fortificata di Patti, l’incendio della cattedrale di San Bartolomeo e l’espugnazione di Lipari, l’assedio dell’abitato protetto dal castello di Santa Lucia del Mela, la minaccia d’assalto alla cittadella fortificata di Milazzo. Le continue incursioni s’inseriscono nel contesto delle dispute sul dominio nel Mediterraneo tra flotte turco – ottomane contro spagnoli, annosa questione risolta con la Conquista di Tunisi nel 1535 e la disfatta del fronte orientale nella Battaglia navale di Lepanto del 1571.
  • XVI secolo – Borgo antico di Lipari derivato dall’ingrandimento della primitiva “Città Fortificata

 

Fino al XVIII secolo, fra le sue mura viveva la comunità dei cittadini di Lipari, non sono rimaste tracce apprezzabili di abitazioni, esistono invece diverse chiese. Fra queste si ricordano quella di Santa Caterina risalente al XVII secolo, quella dell’Addolorata, dell’Immacolata e la cattedrale di San Bartolomeo, posta proprio al centro del colle e contornata da reperti archeologici. La cattedrale è la costruzione più antica edificata dai Normanni intorno al XII secolo e poi ricostruita dagli spagnoli dopo la distruzione del 1544. La facciata odierna risale al 1861 mentre il chiostro dell’antico monastero è realizzato con materiale recuperato da costruzioni precedenti, soprattutto di età romana, ma anche di epoca medievale.

Alcuni edifici del castello sono ora adibiti a sede del Museo archeologico regionale eoliano che ospita gran parte del materiale proveniente dagli scavi intrapresi nel secondo dopoguerra. Gli scavi archeologici condotti a partire dagli anni cinquanta dall’archeologo Luigi Bernabò Brea, hanno portato alla luce uno strato di depositi di oltre 10 metri di spessore, che ha consentito di ricostruire la storia del luogo. Il materiale era ben conservato in quanto ricoperto da ceneri vulcaniche depositate dai vulcani vicini, Stromboli e Vulcano.

 

***

 

Il suo aspetto attuale deriva dalle possenti fortificazioni spagnole, fatte costruire intorno alla rocca da Carlo V verso il 1560, dopo l’attacco all’isola del pirata tunisino Kairedin Barbarossa, che nel 1544 aveva conquistato e distrutto la città, portando via come schiavi gran parte degli abitanti. Queste mura hanno rivestito il roccione fino alla sua base ed erano provviste in diversi punti da postazioni di artiglieria e cannoniere, ora chiuse da murature. Sul lato Nord le mura spagnole hanno inglobato le torri di età normanna (XII secolo) tra le quali è una torre-porta che costituiva l’ingresso antico dalla collina della Civita (Piazza Mazzini) al Castello. Ancora oggi questo rappresenta l’ingresso principale alla rocca. Qui si può vedere, oltre le fortificazioni spagnole e normanne, una torre di età greca (IV secolo a.C.) in esse inserita, costruita con blocchi di pietra rossastra del Monte Rosa, ben squadrati, disposti in altezza su 23 filari. La strada di ingresso al Castello passa sotto un corridoio con volta a botte, dove si conserva una caditoia per la saracinesca di ferro che poteva essere calata a sbarrare il passaggio. Dopo questa apertura doveva esistere una seconda porta chiusa da una stanga di legno. La strada prosegue quindi all’aperto, accanto al muro spagnolo con feritoie, e poi sotto un soffitto con arcate ogivali costruite nel 1800. Si accede finalmente al pianoro della rocca attraverso la porta spagnola del XV secolo, sopra la quale è dipinto uno stemma con un’aquila simbolo della famiglia dei Borboni.
Il Castello era sede fino al XVIII secolo della città. Se delle case sono rimasti visibili pochi resti, si conservano invece le chiese, in tutto cinque: la chiesa di S. Caterina all’ingresso (fine XVll-inizi XVIII sec.), usata come cucina nel periodo fascista, l’ Addolorata (prima metà del XVI sec.) e l’Immacolata (prima metà del XVIII sec.) poco più avanti, la Cattedrale dedicata a S. Bartolomeo apostolo, al centro del pianoro, e infine la chiesa della Madonna delle Grazie (XVII secolo), nell’area del parco archeologico. La più antica è la Cattedrale, che fondata in età normanna nel XII secolo, è stata ricostruita dagli spagnoli nel XVI e XVII secolo dopo la distruzione del pirata Barbarossa . La facciata attuale fu realizzata nel 1861 insieme al campanile, non finito; della costruzione normanna della Cattedrale si può oggi visitare il chiostro dell’antico monastero, costruito con colonne e capitelli sia recuperati dalle case più antiche, soprattutto di età romana, sia di età medievale, decorati con figure di animali (colombe, leoni o animali fantastici) e motivi vegetali (fiori e frutti). L’abitato con case dal XV al XVIII secolo si conservava ancora fino agli inizi del nostro secolo, nonostante le case fossero molto danneggiate. Queste, infatti, una volta abbandonate dagli abitanti trasferitisi nella città nuova nella piana sottostante, erano state occupate dai “coatti”, relegati nell’isola di Lipari prima dal governo borbonico, poi, dopo l’unità d’ltalia, dal governo italiano. Nei primi anni del ‘900, il Vescovo, per non passare attraverso le tristi case distrutte, creò una scalinata di accesso frontale alla Cattedrale, tagliando purtroppo un ampio tratto delle fortificazioni spagnole e distruggendo i resti degli insediamenti delle età più antiche.
Nel 1926, con l’arrivo dei confinati politici, il governo fascista distrusse quanto restava delle case antiche tra l’ingresso e la Cattedrale costruendo due casermoni, dei quali uno ospita oggi il Museo Classico. Si conserva invece parte dei vecchi edifici nell’area oltre la Cattedrale. A sinistra l’attuale Sezione Preistorica era nel XVII secolo il Palazzo Vescovile eretto dal vescovo Vidal inglobando i resti dell’antico monastero normanno; a destra era un’abitazione del XV secolo, ora sezione Vulcanologica; in fondo era la casa “Acunto” del XVIII secolo, attuale sede della Biblioteca e centro dell’attività scientifica del Museo. L’estremità meridionale del Castello è stata sistemata a parco archeologico, dove sono, oltre alla chiesa della Madonna delle Grazie, anche alcuni padiglioni del campo di concentramento che ospitano ora i depositi del Museo ed i laboratori di restauro. Nel parco, inoltre, sono stati sistemati numerosi sarcofagi in pietra provenienti dalla necropoli greca e romana di Contrada Diana ed è stato costruito nel 1978 dal Comune di Lipari, proprio nell’area utilizzata durante il fascismo come cava di pietra, un teatro all’aperto sul modello degli antichi teatri greci, ora destinato nella stagione estiva a spettacoli di vario genere.

 

Monumenti del Castello

All’interno della cinta muraria, accedendo dalla porta carraia, si possono ammirare sul lato destro o di Nord-Ovest:

  • XVI secolo – Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria;
  • XVII secolo – Chiesa di Maria Santissima Addolorata;
  • XVIII secolo – Chiesa di Maria Santissima Immacolata;
  • Insediamenti preistorici del neolitico, dell’età dei metalli, dell’età del bronzo e dell’età ellenistica, greci, romani;
  • Scalinata monumentale;
  • Necropoli;
  • Anfiteatro.

Concludendo in senso antiorario sul lato sinistro o di Sud-Est:

  • XVIII secolo – Chiesa di Maria Santissima delle Grazie;
  • Chiostri;
  • 1082-1083 – Monastero Benedettino – Cluniacense;
  • 1082-1083 – Cattedrale di San Bartolomeo;
  • Museo Archeologico Regionale Eoliano in alcune ali del castello e nell’antica sede vescovile.

 

Chiesa di Santa Caterina D’Alessandria

La Chiesa di S. Caterina (fine XVll-inizi XVIII sec.) Intorno al 1590 nella casa, strutture, dipendenze annesse abitarono i religiosi Cappuccini, insediati nell’isola e intenti ad edificare le strutture conventuali della Civita. Nel 1817 è documentata diruta ed interdetta ad alcuni giovani la richiedevano per farvi sorgere un teatro.La struttura fu ricostruita e perfezionata nelle forme attuali tra il 1839 e il 1844. Fu trasformata in cucina durante il periodo fascista e oggi ristrutturata, è adibita a sala convegni o all’esposizione di mostre pittoriche contemporanee. Nel 1980 si conclude il ciclo di ristrutturazioni e restauri. Oggi è adibita a sala convegni o all’esposizione di mostre pittoriche o di scultura d’arte contemporanea. Gli ambienti ospitano eventi legati al vicino Museo archeologico regionale eoliano «Luigi Bernabò Brea».

 

 

 

Chiesa di Maria Santissima Addolorata

Nel quartiere di Sant’Andrea esistevano tre oratori o cappelle contigue.

 

  • Cappella dei Sette Dolori o della Santissima Resurrezione, detta anche della Soledad o della Pietà o della Addolorata, costruita dai militari iberici aragonesi nel XIV secolo. Le confraternite della Soledad, costituite da gentiluomini borghesi e da militari aragonesi – spagnoli, nutrivano una profonda avversione nei confronti del vescovo di Lipari, percettore delle quote censuali, delle decime sui prodotti agricoli e unico in tutta la Sicilia a non riconoscere l’Apostolica Legazia, per tanto, la cappella divenne un luogo di culto autonomo in contrapposizione alla cattedrale.
  • Cappella di Sant’Andrea d’epoca medievale (XV secolo) in seguito dedicata alla Immacolata Concezione. Infine sostituita dalla chiesa di Maria Santissima Immacolata.
  • Cappella di Sant’Antonio Abate (XV secolo) in seguito dedicata alla Madonna Vergine Santissima dell’Itria.

Violati ed incendiati dai turchi nella “ruina o Sacco”  del 1544 i tre tempietti, furono prontamente restaurati.

Nel corso del secondo cinquecento e, per tutto il seicento, la cappella della Soledad, restaurata nel 1563, continuò ad essere la chiesa dei militari e dei nobili del paese, i quali osteggiavano il vescovo per la sua politica fiscale.

Posta sotto la giurisdizione reale nel 1686, i cappellani erano nominati solo dal viceré di Sicilia. Nel 1699 il vescovo Girolamo Ventimiglia,  nel tentativo di recuperare la giurisdizione sulla Regia chiesa della Soledad, unì quest’ultima alle due cappelle a essa contigue, realizzando un unico luogo di culto, denominandolo chiesa dell’Addolorata. Il tentativo fu assolutamente vano, anzi sortì l’effetto di sfregiare e lasciar sfigurate le tre vecchie cappelle da intonaci e stucchi che seppellirono affreschi prerinascimentali.

Durante il periodo borbonico, fu il vescovo Giovanni Maria Visconte Proto ad ottenere da Ferdinando II, re delle due Sicilie, il rientro della chiesa sotto la giurisdizione dei vescovi con decreti reali del 1852 e del 1855.

 

Chiesa di Maria Santissima Immacolata

Di questa chiesa sono poche le fonti a noi rinvenute, sappiamo che fu costruita intorno al XVIII secolo, durante il periodo borbonico. Essa ha presenta chiaramente le caratteristiche architettoniche del “Barocco-Rococò”.  Infatti, la liscia facciata intonacata presenta un reticolo costituito da marcapiani e lesene realizzati in conci di pietra viva squadrati. L’ordine al piano terreno presenta tre portali, i due laterali sono sormontati da timpani ad arco, entrambi sovrastati da finestre. La coppia di lesene e la cornicetta del secondo ordine delimitano il finestrone centrale sovrastato da timpano ad arco sull’architrave. Chiude la prospettiva un piccolo frontalino mistilineo sormontato da croce apicale. Nel tempo, questa chiesa, è diventata un auditorium intitolata a Giuseppe Sinopoli, celebre direttore d’orchestra, legato alle Isole Eolie.

 

 

Scalinata Monumentale

 

   

 

I lavori erano stati avviati da mons. Palermo che aveva acquistato i terreni dove doveva essere fatto il taglio e forse aveva anche avviato i lavori di sbancamento. Per questo lavoro il vescovo deve attingere al lascito di mons. Ideo che era di 80 mila lire in titoli che il suo predecessore aveva cadenzato secondo una precisa sequenza di obiettivi. Fra questi non c’era la scalinata ma c’era la costruzione di una nuova Cattedrale e quindi mons. Audino, come prima di lui mons. Palermo, pensando che le due opere fossero fungibili, ritiene che anche la scalinata rientri nel lascito.  I titoli di credito mons. Natoli li aveva consegnati alle suore di Carità  che ne amministravano anche gli interessi, così il vescovo si rivolge alla superiora delle suore e chiede i titoli. Tuttavia, la madre superiora, Suor Luisa Mandalari, fu un po’ riluttante all’inizio, ma accettò di dare i titoli, affinchè venisse concessa anche una parte per l’Istituto delle suore. Mons. Audino accettò e riservò per loro una somma di 20 mila lire. Per far fronte alla pesante crisi ecomonica che gravava sulle Eolie, il sindaco del tempo, l’avvocato Ferdinando Paino, accetta di buon cuore il progetto di mons. Audino, sperando che tale progetto possa dare lavoro a parecchi isolani. E così il 19 ottobre il progetto arriva in Consiglio con la proposta di discuterlo al primo punto dell’ordine del giorno. Ma già fa fatica il Sindaco a fare passare questa precedenza e comunque non riuscirà ad ottenere l’unanimità, come il vescovo sperava. Anzi, le critiche erano parecchie. Tra queste, si ricordano quelle del consigliere Caserta, il quale preferiva la strada a rampe e non a gradini e, inoltre, affermava che, con la demolizione di ventun metri di mura  “si deturperebbe la vetustà monumentale del Castello”.  Prima la discussione in Consiglio e poi la burocrazia, i tempi si allungano. Se mons. Arduino pensava che si potesse realizzare l’opera in pochi mesi, entro l’anno santo, dovette ricredersi presto. Infatti soltanto nel maggio del 1903 giunse l’autorizzazione per demolire i fabbricati sulla via Garibaldi di fronte al tratto di mura da sventrare, e in agosto si poté mettere mano al taglio delle mura con la gente che accorreva a vedere come ora la Cattedrale sembrasse più vicina. Ad ammirare “la Cattedrale più vicina” però non c’era fra i tanti mons. Audino che proprio nel mese di giugno era stato trasferito a Mazzara del Vallo e con la sua partenza l’opera si bloccherà e passeranno anni prima che venga ripresa. I lavori terminarono nel 1913 e, la scalinata, fu inaugurata da Monsignor Paino. Un evento che rimase nella mente di molto eoliani dell’epoca, proprio di quell’anno, fu quando, per la festa di San Bartolomeo dei contadini, il 5 marzo, tre bambini rimasero seppelliti a causa della caduta del muro di contenimento di sinistra. Se da un lato molti cittadini non lo dimenticheranno, dall’altro non emerge nulla di tale evento nei verbali del Consiglio Comunale.

(Nella foto di sinistra: durante i lavori; a destra: inizio dei lavori di fronte alla Cattedrale, al centro: la Scalinata com’è oggi; da Archivio Storico Eoliano)

 

Anfiteatro

L’Anfiteatro al Castello di Lipari è stato realizzato nel 1976 sul modello di un teatro greco. L’affaccio sulla piazzetta di Marina Corta ed il suo splendido scenario sono la cornice di un ricco calendario di eventi organizzati durante la stagione estiva.

 

Chiesa di Maria Santissima Delle Grazie

Situata nella lato Sud del Castello, questa chiesa (conosciuta anche con il nome di “Madonna delle Grazie”) risale al XIII secolo, fu restaurata intorno al 1700 da monsignor Girolamo Ventimiglia, il quale fu un grande vescovo per le Eolie, difensore dei poveri e dei più bisognosi. Tutavia, questa chiesta non è adibita al culto religioso.

 

 

Chiostro Normanno del Monastero 

Benedettino – Cluniacense

 

Il Chiostro Normanno, presente nell’immagine, fu costruito sotto le direttive del Conte Ruggero D’Altavilla, nel 1131 circa. Tuttavia, fu distrutto durante l’invasione turca del 1544. Esso si trova all’interno del Monastero Bendettino-Cluniacense,  il quale fu il primo ad essere edificato in tutta la Sicilia. La decisione di costruire tale  monastero fu presa di comune accordo col fratello Roberto il Guiscardo che morì nel 1085 ed aveva tenuto il dominio delle Eolie fino proprio al 1082-83. Manca l’atto ufficiale di fondazione ma siamo in possesso di un diploma rilasciato da Ruggero II, figlio del Conte Ruggero, il 28 aprile del 1134, col quale si confermano le donazioni fatte al Monastero di Lipari ed espressamente si accosta Roberto il Guiscardo al Conte Ruggero come autore delle donazioni. Questo diploma è importante perché, prima dei beni assegnati al monastero, parla dell’assegnazione delle sette isole con le loro pertinenze.

 

 

Cattedrale di San Bartolomeo

La Cattedrale fu edificata intorno al 1082-1083. Fu fortemente voluta dal Conte Ruggero D’Altavilla e si cominciò quando egli inviò l’Abate Ambrogio e i religiosi dell’Ordine di San Benedetto. Assunse il rango di cattedrale grazie all’interesse dell’abate Giovanni Pergana, nominato in seguito vescovo della diocesi di Lipari. Successivi ampliamenti documentati tra il 1450 e il 1515 completano l’edificio con un artistico soffitto di legno a capriate, incendiato nel luglio 1544 in seguito all’assalto dell’armata corsara turco – ottomana capitanata da Khayr al-Din Barbarossa. Ricostruzione promossa dal vescovo Annibale Spadafora nel 1553 con realizzazione del tetto in muratura con volta a botte. Il 13 febbraio 1654 il vescovo Benedetto Geraci presiede i riti di consacrazione del tempio. Nel 1728 fu commissionata la celebre statua argentea di San Bartolomeo, come segno di ringraziamento, per il pericolo scampato del terremoto dell’11 gennaio 1963, note come il “terremoto di Val di Noto”. Nel 1769 il vescovo Bonaventura Prestandrea con i lasciti del predecessore perfezionò le ali dell’edificio, costruì l’Aula consiliare, fece affrescare l’interno, con particolare riguardo al soffitto arricchito con un ciclo di scene bibliche tratte dal Vecchio Testamento. Fra il 1755 e la fine del secolo è innalzato il campanile e la cattedrale è ingrandita con due navate laterali. Nel 1859 un fulmine colpisce e distrugge il timpano della facciata e un paio di campate della volta. L’intervento di ripristino è immediato e termina nel 1861. Le pitture scomparse non sono state sino a oggi ripristinate. Il 30 settembre 1986 si ebbe l’unificazione giuridica delle diocesi di Messina, Lipari, Santa Lucia del Mela nell’unica arcidiocesi di Messina-Lipari-Santa Lucia del MelaIgnazio Cannavò fu il primo arcivescovo metropolita e archimandrita del Santissimo Salvatore.

 

Museo Archeologico Regionale Eoliano

Il Museo Archeologico Regionale Eoliano «Luigi Bernabò Brea», intitolato all’omonimo archeologo, è stato realizzato nel 1954e contiene, per la maggior parte, reperti archeologici provenienti da sistematiche campagne di scavo, condotte dagli archeologi Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier, nel territorio delle isole Eolie. È costituito da oltre 40 sale, ubicate in diversi edifici del complesso del Castello, e suddiviso in diverse sezioni.

 

 

 

 

Il culto di San Bartolomeo

San Bartolomeo è il Santo Patrono di Lipari, ma come si stabilì qui? Come si affermò tale culto?

Innanzitutto richiamiamo brevemente chi era San Bartolomeo: uno dei dodici apostoli di Cristo conosciuto anche (nel vangelo di Giovanni) con il nome di Natanaele, nativo di Cana, che morì verso la metà del I secolo probabilmente in Siria. Il nome Bartolomeo deriva probabilmente dall’aramaico «bar», figlio e «talmai», agricoltore o ,secondo un’altra versione, “tholmai” colui che smuove le acque. Bartolomeo giunse a Cristo tramite l’apostolo Filippo. Dopo la resurrezione di Cristo, Bartolomeo fu predicatore itinerante (in Armenia, India e Mesopotamia). Divenne famoso per la sua facoltà di guarire i malati e gli ossessi e  fu condannato ad essere scorticato vivo e poi crocifisso.

la testimonianza più antica che parla  dell’arrivo e della presenza a Lipari del corpo di San Bartolomeo è quella di San Gregorio di Tours, vescovo e storico, il quale tra il 572 e il 590 scrive:

“La storia del martirio di Bartolomeo narra che egli patì in India [ secondo altre versioni: in Asia]. Dopo lo spazio di molti anni dal suo martirio, essendo sopraggiunta una nuova persecuzione contro i Cristiani, e vedendo i pagani che tutto il popolo accorreva al suo sepolcro e a lui rivolgeva preghiere e offriva incensi, presi da odio , sottrassero il suo corpo e, e ponendolo in un sarcofago di piombo, tenuto a galla dalle acque che lo sostenevano, da quel luogo fu traslato ad un’isola che si chiama Lipari, e ne fu data notizia ai Cristiani perché lo raccogliessero: e raccoltolo e sepoltolo, su di questo edificarono una grande chiesa. In questa chiesa è ora invocato e manifesta di giovare a molte genti con le sue virtù e le sue grazie”

Da tale manoscritto, notiamo come inizia la tradizione del Santo e afferma che:

  1. il corpo fu gettato in mare e tenuto a galla dalle acque che lo sostenevano;
  2. il corpo fu traslato all’isola di Lipari;
  3. fu data notizia ai cristiani perché lo accogliessero;
  4.  il corpo fu accolto e sepolto e su di esso fu edificata una grande chiesa.

 

Un’altra testimonianza del legame fra San Bartolomeo e Lipari ce la dà San Teodoro Studita (759-826). Dopo la sua morte San Bartolomeo – racconta questo monaco bizantino – non si dimenticò dei suoi uccisori e fece numerosi miracoli e prodigi, ma proprio questo portò i suoi persecutori ad infierire sul suo corpo. Presero l’arca miracolosa che conteneva il suo corpo e la gettarono in mare . Ma invece di affondare l’arca, per grazia divina, “parve avanzare attraverso i flutti”. L’arca fu trascinata dalle regioni dell’Armenia, con le arche di altri quattro martiri anch’esse gettate in mare, che precedettero ed in qualche modo scortarono l’Apostolo. Navigando queste arche giunsero “oltre la Sicilia, all’isola chiamata Lipari, per manifestarsi là grazie al ritrovamento da parte del vescovo del luogo, il santissimo Agatone”.

E’ come – esclama san Teodoro – “se l’isola dal nome appropriato abbia gridato con voci misteriose verso di lui che vi era pervenuto:’ Vieni a me l’infelice, tesoro tre volte beato dello Spirito tutto santo, vieni a me la disprezzata, perla di immenso valore, vieni a me la postulante, o tu che da altri foste gettato via con suprema ingiustizia; stabilisci in me e molte dimore in me si costruiranno , sii mio patrono e sarò molto abitata; rendi celebre il tuo nome in me e da ogni parte si parlerà di me; mentre altri hanno respinto te portatore di luce, io che vivo nel buio mi protendo verso la tua luce; mentre gli altri si sono fatte beffe di te, nutrimento di parole viventi, io invece come una piccola cagna bramo di ricevere le briciole delle tue reliquie’. Dopo di ciò l’Apostolo, lasciatosi dietro i martiri che gli avevano fatto scorta, uno in luogo, uno in un altro (…); lo stesso come un re che veniva accolto nella residenza del proprio riposo, si diresse laddove veniva invitato: fu accolto splendidamente con molta luminaria e con profumi e inni, mentre tutti gli abitanti del luogo gli vennero incontro con gioia. Successivamente l’arca non avanzò più; benché infatti alcuni la tirassero, essa divenne irremovibile. Al gaudio subentrò l’afflizione: il popolo fu impotente; ma venne escogitato un espediente. Vicino infatti è il Signore a quanti lo invocano. L’arca, trasportata su due caste vitelle fu deposta laddove la sua sacra abitazione sarebbe stata eretta in breve. Dopo le difficoltà, anche il miracolo fu straordinario. Poiché allora Vulcano, com’è chiamato, essendo adiacente all’isola, incombeva rovinoso sugli abitanti del circondario, fu allontanato durante le tenebre e in qualche modo fu bloccato a distanza, a sette stadi in direzione del mare, tanto che fino ad oggi è manifesta a quelli che guardano tale promontorio la collocazione del fuoco obbligato ad allontanarsi”. 

Questa versione aggiunge alcuni altri elementi alla tradizione:

  1. l’arca con il corpo di San Bartolo non viaggia da sola per il Mediterraneo ma scortata da altre quattro arche di martiri che, arrivati in Sicilia, vengono distribuiti come patroni a diverse città del Meridione;
  2. a Lipari c’è un vescovo che si chiama Agatone e che è ritenuto “santissimo”;
  3. l’arca giunta in prossimità della riva non si riesce a trainare a terra qualunque  sforzo si faccia. Si riesce solo con l’aiuto di due “vitelle caste”.

 

Una terza narrazione é quella di San Giuseppe l’Innografo (816-886). Anche se più succinta la testimonianza del monaco nato in Sicilia ma vissuto in Grecia, ripete la versione del Santo, il cui corpo, gettato in mare dai “tiranni del luogo” nel suo viaggio attraverso il mare Pontico, l’Egeo e l’Adriatico, è accompagnato dai corpi di altri quattro martiri, “collocati due alla sua destra e due alla sua sinistra”,i quali però, una volta raggiunta la meta di Lipari, “si volsero a quei luoghi ai quali la divina provvidenza destinava ciascuno di loro”.

Racconta: “Fu una scoperta per colui che in quel tempo presiedeva alla chiesa di Lipari il fatto di ritrovare sulla spiaggia il grande Apostolo del Signore ( era costui Agatone, ed era grande la sua fama presso di tutti). Egli accorse e vedendo il corpo che era stato gettato sulla terraferma, pieno di stupore e di gioia gridava : Benvenuto, o porto di salvezza per coloro per coloro che lottarono nel mare delle calamità, benvenuto o divino fiume del Paraclito, che sei inondato dalle sorgenti della verità e sfoci in mare tra onde di pietà (…) Colei che da povera è diventata ricca; infatti oggi ho ricevuto in dono un tesoro grandissimo. Io non apparirò manchevole di nulla, in confronto alla famosa Roma, che ha come suoi abitanti i beati Pietro e Paolo; ho infatti Bartolomeo come abitante. Voi tutte mie isole, rallegratevi con me oggi, voi tutte città, gioite con me per sempre. Presso di voi giacciono i corpi di molti santi, a me ne basterà uno al posto di tutti”.

In questi testi mancano altri elementi, che pure fanno parte della tradizione, che il corpo di San Bartolomeo sarebbe giunto il 13 febbraio del 264 d.C., nella piccola spiaggia di Portinenti, e che la sua bara sarebbe rimasta lì fino ai nostri giorni. Questi dati ulteriori fanno parte anch’essi di una antica tradizione sebbene il primo documento a noi noto, che riporta gli estremi del giorno e del mese, sia – osserva Giuseppe Iacolino – del 1617 e si tratterebbe di un atto notarile di mons. Alfonso Vidal (1599-1617) del 9 giugno di quell’anno. mentre l’abate don Rocco Pirri, autore dell’opera “Sicilia Sacra” che fu a Lipari fra il 1627 e il 1644 scrive: “La divina bontà spinse le spoglie di Bartolomeo all’isola di Lipari, e precisamente in un luogo distante dalla città, dove è ancora visibile, sott’acqua, il sarcofago. Così mi raccontano i Liparesi i quali ciò avevano appreso da una tradizione giunta sino ai nostri tempi”. Infine la più antica fonte letteraria che espressamente menziona la baia di Pertinenti è Pietro Campis nel suo “Disegno Storico” che è del 1694. (Tratto da “Archivio Storico Eoliano”: www.archiviostoricoeoliano.it)

San Bartolomeo si festeggia a Lipari in diverse celebrazioni, ognuna con un significato particolare:

  • 13 Febbraio, San Bartolomeo Protettore dei Pescatori (elemento acqua);
  • 5 Marzo, San Bartolomeo Protettore dei Contadini (elemento terra);
  • 24 Agosto, San Bartolomeo Protettore delle Isole Eolie, intese come vulcani (elemento fuoco);
  • 16 Novembre, San Bartolomeo Protettore dai Terremoti (elemento aria).

 

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«Il 13 febbraio, in occasione della festività in onore di S.Bartolomeo dei pescatori, si assiste ad un particolare appuntamento, l’attesa asta pubblica dello stendardo, conteso dalle famiglie dei pescatori più in vista dell’isola e che verrà portato in processione da un esponente del gruppo aggiudicatario.
Una cerimonia tra il folcklore ed il sacro, che ha radici lontane.
Correva l’anno 1902, il capitano marittimo Giuseppe Virgona, al comando del suo veliero dirigeva la prora verso l’America traportando un carico di prodotti tipici eoliani: “passulina”, capperi e malvasia.
Durante la traversata fù investito da una tempesta che martoriò il suo “legno” costringendolo a gettare in mare il prezioso carico.
Il cielo s’oscurò e le onde s’ingrossarono mettendo a dura prova l’equipaggio e la fede di salvezza del capitano.
Un’onda più grossa s’abbattè sul vascello disperdendo in mare la ciurma e facendo cadere, dentro una cassa il comandante, che riportò gravi traumi alla spina dorsale.
Impossibilitato a muoversi e ormai certo della sua imminente fine, pregò S.Bartolomeo al quale affidava la sua anima. Contro ogni logica previsione, riusci a salvarsi, benché rimasto totalmente paralitico, e ritornare alle sue amate isole.
Dopo un lungo periodo, proprio quando, oramai, si era rassegnato alla sua misera condizione, in una notte come le altre, gli venne in sogno il Santo Patrono che gli disse: “ Peppinu, susiti e camina”. Peppino indugiava, costringendo il Santo a ripetere tre volte l’invito. Peppino, quindi, pervaso da una forza sconosciuta, si sentì spinto e si alzò riprendendo a camminare.
Il miracolo suscitò fermento nell’isola e una grande massa di persone si recò in Cattedrale per onorare il Santo Patrono
Da quell’istante, “Peppino” decise di dedicare la sua esistenza a S.Bartolomeo e la Cattedrale di Lipari reca i segni indelebili della sua immensa devozione. Comprò lo stendardo, dando inizio alla tradizionale “asta” ancora oggi in voga.
In Cattedrale, alla sinistra della statua di S.Bartolomeo è ancora visibile una lapide a memoria che recita:
“Ad imperitura memoria di Giuseppe Virgona, Capitano marittimo che, con offerte pazientemente raccolte e scrupolosamente amministrate, dotò questa Cattedrale di artistica Via Crucis, di grande organo liturgico, di suppellettili sacre e di altre innumeri opere, rendendosi benemerito della chiesa liparese e del popolo eoliano”

Divenne Tesoriere della Cattedrale ed il suo nome fù tramandato ai posteri come “uomo giusto perché uomo di grande fede”. Morì il 9 febbraio 1940 alla venerabile età di 94 anni.» (Documento di Aurora Beninati in “Archivio Storico Eoliano”)

 

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Il 5 marzo ricorre la seconda festa dell’anno in onore a S.Bartolomeo, quella dei “contadini”, istituita nel 1823 dal vescovo Carlo Lenzi. I festeggiamenti vogliono ricordare i diversi miracoli del Santo che hanno salvato le Eolie dalla carestia, uno tra questi quello del vascello francese approdato a Lipari che scaricò a terra tanto grano da sfamare gli abitanti senza che nessuno riuscisse a ripagare il nobile gesto, perché il vascello ripartì in fretta. Fu questo l’episodio che fece nascere nei fedeli l’idea di avere un Vascelluzzo d’Argento somigliante a quello di Messina. La navicella argentea costruita cento anni fa contiene 2 Kg d’oro e 30 d’argento ed inoltre custodisce un frammento di pelle di S.Bartolomeo. In occasione dei festeggiamenti del 5 Marzo viene illuminata la piccola chiesetta del Monte intitolata a S.Bartolomeo e vengono celebrate le messe. I festeggiamenti prevedono il novenario in Cattedrale e la solenne processione della Statua del Patrono e del Vascelluzzo per le vie del centro storico di Lipari e la conclusione dei fuochi artificiali in Piazza Marina Corta e in contrada Monte. La preghiere in dialetto liparoto più lunga è proprio quella dedicata a San Bartolomeo. (Tratto da Lipari.biz – Mariangela Pastore)

 

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Il 24 Agosto è la festa principale, intesa come San Bartolomeo Protettore delle Isole Eolie. Infatti, San Bartolomeo, come si tramanda, ha sempre protetto gli eoliani nonostante il fatto che, dopo la quasi totale distruzione della comunità da parte dei saraceni (avvenuta intorno all’anno 840), le sacre reliquie furono trafugate e successivamente traslate, prima nella città di Benevento e dopo a Roma. La fede dei Liparesi verso il Santo Patrono si mantiene integra tutt’ora e non di rado ci si rivolge a Lui per intercedere presso l’Altissimo. Manifestazione evidente di devozione è la Statua d’argento, a dimensione d’uomo, che rappresenta il santo e che fu realizzata grazie ad una colletta della popolazione. La statua risale al 1728 e da quell’epoca si trova nell’attuale cattedrale su un bellissimo altare ligneo costruito per l’occasione. In cattedrale sono anche custoditi: il Sacro pollice del Santo, unico frammento delle sacre reliquie rimasto sull’isola, e il “Vascelluzzo d’argento”, realizzato nel 1930; si tratta di un’ artistica navicella fatta realizzare per ringraziare il Santo che, secondo la tradizione, fece giungere carico di grano a Lipari, in un periodo di carestia; grazie a questo evento miracoloso fu evitata morte di sicura a buona parte della popolazione.

 

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Il 16 novembre si festeggia in quanto, San Bartolomeo, ha spesso protetto il popolo Eoliano da devastanti terremoti ( come è accaduto nelle seguenti date: 11 gennaio 1693, 5 febbraio 1783, 28 dicembre 1908, 17 aprile 1978, 16 agosto 2010).

Ma fu, in particolare, il terremoto del 16 novembre del 1894 che convinse gli isolani che il loro santo patrono li proteggeva da questo tipo di calamità.

In quella data, un forte terremoto colpiva la Calabria meridionale,causando gravi danni e almeno un centinaio di vittime. Il terremoto ebbe una magnitudo di 6.1. Il sisma colpì anche  la Sicilia orientale ed ebbe effetti distruttivi in un’area vastissima, comprese le Isole Eolie. Si registrò a Lipari una intensità sismica del VI grado della scala Mercalli. Un importante maremoto allagò le zone pianeggianti vicino le coste. Nonostante gli ingenti danni, alle Isole Eolie non si registrarono morti o feriti. Per questo motivo, il Vescovo del tempo, il liparese Giovanpietro Natoli, istituì il 16 novembre 1895 una festività in onore di San Bartolomeo in segno di ringraziamento. Venne quindi istituita una solenne processione con il venerato simulacro argenteo di San Bartolomeo e l’artistico Vascelluzzo. Questo è l’itinerario più lungo tra le quattro annuali processioni in onore del santo patrono San Bartolomeo: raggiunge la località di Marina Lunga. Il Vescovo Natoli, volle che questa Processione raggiungesse proprio le zone duramente provate l’anno precedente. I festeggiamenti in onore di san Bartolomeo Apostolo, nel ricordo degli scampati pericoli di terremoto che colpirono le isole Eolie iniziano con un novenario celebrato in cattedrale nei giorni precedenti il 16 novembre. (Tratto da Cristina Leone).

 

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